Insieme di suoni emessi dall’uomo, ma anche dagli animali e dalla natura (la voce del vento, quella delle cascate, le voci del bosco, ecc), la voce è, nella quasi totalità delle culture, il più diffuso strumento di comunicazione, e ha un ruolo cruciale nel determinare il comportamento sociale, poiché non è efficace solo nel trasferire contenuti ma è altresì in grado di creare legami tra individui e definire relazioni umane.
Sono numerosi gli studi che sottolineano il ruolo cardine della comunicazione verbale nel costituirsi dei legami, fra genitore e bambino ad esempio, addirittura in fase prenatale. Ce lo raccontava già l’etologo Konrad Lorenz quando, in uno dei suoi noti esperimenti, dopo aver parlato regolarmente con una covata di anatroccoli, aveva potuto verificare quanto forte fosse la loro sensibilità alla voce umana una volta schiuse le uova.
Se ci disponiamo ad un ascolto attento, nella relazione di mentoring e non solo, la voce ci racconterà del nostro interlocutore molto più di quanto egli stesso possa voler rivelare di sé.
Attraverso la combinazione di intensità, altezza e timbro, e anche indipendentemente dal significato delle parole, nelle pieghe della voce possiamo cogliere le emozioni che una persona sta provando: rabbia, gioia, tristezza, paura, disgusto; il tono può anticipare intenzioni latenti; l’accento e le cadenze suggerire terre d’origine e culture d’appartenenza. C’è addirittura un momento nella vita di ogni ragazzo in cui è il “cambio di voce” a svelare al mondo che il passaggio dall’infanzia all’età adulta è compiuto.
Alcune persone si esprimono con “un filo di voce” per garbo, altre perché nessuno ha mai fatto sentire loro che quello che dicono è importante. “Alzare la voce” e “fare la voce grossa” tradiscono quasi sempre volontà di sopraffazione e paura di ciò che è “Altro”. Il bisogno di “far sentire la propria voce” è invece percepito come una spinta ad autodeterminarsi, a esprimere la forza delle proprie ragioni e rappresentare anche il proprio dissenso. Che dire poi dell’impegno di quanti operano nel mondo per garantire libertà e diritti e “dare voce a chi non ne ha”?
Ci sono voci che dicono anche senza bisogno di emettere di suoni. La voce della ragione, di frequente contrapposta a quella del cuore in alcune scelte cruciali. Le voci di bilancio, insieme di attività o passività di una situazione patrimoniale, ma spesso anche esistenziale. La voce del padrone che è, nel sentire comune, quella di chi impone la propria autorità e non ammette pensiero critico (ma è anche il titolo di un album di grande successo di Franco Battiato, con un chiaro riferimento alla volontà dell’individuo nella filosofia di Gurdjeff)
Tra queste voci, che non si esprimono a parole ma non per questo possono dirsi poco rumorose, c’è la voce interiore. Cioè quella qualità intuitiva che si manifesta quando siamo naturalmente in ascolto di noi stessi, e cogliamo connessioni che ci aiutano a identificare il nostro percorso e a dare un senso al nostro esistere.
Ci può volere del tempo per mettersi in ascolto della propria voce interiore, tanto esercizio per affinarla, e non è neanche detto che riusciremo ad esprimerla del tutto.
Le percentuali di riuscita potrebbero aumentare, se saremo così fortunati da incontrare un mentore sul nostro cammino. Egli saprà ascoltare e riconoscere le voci che in noi si esprimono nel verbale, paraverbale e non verbale, e ci accompagnerà alla scoperta della nostra voce interiore per aiutarci, in un’autentica condivisione di esperienze, a sintonizzarci con essa. Perché stare in una relazione di mentoring non è solo udire o capire il significato delle parole, tanto meno interpretarle, è soprattutto fare l’esperienza di riconoscersi in comunione con l’Altro, mantenendo ciascuno l’unicità della propria voce.